Questi vecchi jeans di taglio maschile sono la mia coperta di Linus. Ne possiedo altre paia eppure sono loro quelli che scelgo sempre, fra tutti. Con il passare del tempo si sono consumati in diversi punti, sulle tasche, sulla cintura, sugli orli, sul cavallo. Ho iniziato così a rammendarli fino a trasformarli in una sorta di imparaticcio, il mio book personale che mi accompagna durante i workshop, per mostrare le possibili tecniche da utilizzare.
Una delle mie preferite è il sashiko.
Anticamente sashiko veniva usato per cucire e rinforzare gli indumenti, sovrapponendo strati di tessuto, al fine di aumentarne la durata e la longevità, mentre oggi è conosciuto come forma di ricamo ad uso decorativo.
Questa antichissima arte nasce in Giappone durante il periodo Edo (1603 – 1867 d.C.), tra le popolazioni rurali più povere per un’esigenza pratica, ovvero creare e rinforzare indumenti per proteggersi dal freddo. Tecnicamente il trapunto ottenuto con il ricamo sashiko creava piccole sacche d’aria tra due strati di tessuto. Queste sacche funzionavano da isolante contro il freddo.
Le famiglie usavano così rammendare e rinforzare i propri indumenti, coperte e panni, recuperando anche i più piccoli frammenti di tessuto.
La colorazione tipica del sashiko è bianca e blu, questo perché il filo di cotone bianco era particolarmente economico e il tessuto color indaco era abbondante.
I bellissimi disegni tradizionali sono composti da linee orizzontali, verticali, diagonali e curve, secondo schemi precisi e regole basilari. Io amo usare sashiko con licenza poetica, lasciando scorrere l’ago sul tessuto, così da trovare nell’imprecisione la vera bellezza, secondo la filosofia wabi-sabi.
Sashiko è la tecnica ideale per prevenire la formazione di strappi e buchi, rinforzando per esempio le zone che si consumano più facilmente.
Per esempio, all’interno del cavallo dei miei jeans, ormai logoro ma non ancora strappato, ho inserito un ritaglio di tessuto più leggero che ho poi fissato con un ricamo chiamato jujizashi. Il detto prevenire è meglio che curare calza perfettamente anche per il rammendo.
Curiosità
Ti racconto un aneddoto che rende l’idea della forza e della bellezza di questa arte del ricamo. Dopo il terremoto e lo tsunami del 2011, che ha colpito la regione di Tōhoku, nel nord-est del Giappone, le popolazioni locali si sono mosse per ridare vita alla regione. È nato così il bellissimo progetto Ōtsuchi Recovery Sashiko, dedicato a madri e nonne che avevano perso il ruolo impegnativo e fondamentale di casalinghe. Riunite in una comunità e munite di aghi, fili e tessuti, queste donne praticavano il sashiko, più di un ricamo, la speranza nella vita e nella rinascita.
Boro
Spesso boro e sashiko vengono confusi ma si tratta di due cose differenti.
Sashiko, come già detto, è un’antica forma di cucitura, mentre boro, letteralmente straccio, è il risultato di un lungo processo di ripetuti rammendi e sovrapposizioni di tessuti su indumenti e tessuti tramandati di generazione in generazione, sbiaditi, consumati, rotti, e giunti a noi sotto forma di frammenti e indumenti logori. Boro è oggi riconosciuto come una forma d’arte tessile inestimabile esposta nei più importanti musei del mondo.
Un’antica leggenda giapponese racconta: “se possiedi un pezzettino di tessuto sufficiente a contenere tre semi di soia devi conservarlo”. A questo proposito, nella cultura giapponese c’è un’espressione molto interessante, mottainai, che si può tradurre con “non buttare”. Un appello al non sprecare riutilizzando oggetti e indumenti altrimenti destinati ai rifiuti. Anche il più piccolo insignificante scarto può essere trasformato in qualcosa di utile.
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